Due accappatoi animati, usati, appesi bagnati, il blu e il rosa una chiara connotazione del maschile e del femminile vicini, uniti per le mani. Rivoli d’acqua scendono giù, colano verso il basso. Verso la disgregazione, forse, di ciò che è stato, di ciò che è, reduci di guerra e d’amore. Gli accappatoi sono animati perché sono abitati o lo sono stati, perché rifiutano di lasciarsi penzolare e basta, si tengono per mano, voltano le spalle a chi li guarda, sono appesi ma insieme. Il celeste e il rosa sono anche i colori della nascita; è uso comune infatti “appendere” un fiocco rosa o celeste sui portoni dei palazzi per annunciare il sesso del nuovo arrivato.
Fiocchi appesi come due accappatoi, come la condizione dell’essere umano sin dal giorno della sua nascita. Restiamo appesi alla vita nonostante la disgregazione della giovinezza, lo scorrere del tempo, la malattia, le difficoltà. E questi due accappatoi uomo/donna, un tempo fiocchi appesi di lieta novella, sono vicini eppure separati. È possibile vedere infatti un pomello vuoto tra i due: uno spazio necessario probabilmente. Cos’è che ha impedito ai proprietari degli accappatoi di appenderli uno accanto all’altro senza lasciare uno spazio vuoto? È semplice: troppo vicini non avrebbero modo di asciugarsi, rimarrebbero irrimediabilmente umidi, pesanti quindi vicini, sì ma separati da una distanza che gli consenta di tenersi per mano senza però caricare su di sé, l’uno il peso dell’altro, condividere la condizione di accappatoi appesi ma senza gravare sull’altro il proprio carico grondante d’acqua che hanno assorbito.
Assorbono questi oggetti fatti di spugna o di microfibra, avvolgono, assolvono il loro compito poi rimangono lì umidi, come dopo un atto d’amore, sfiniti, rilassati e con uno spazio di separazione necessario per riprendere fiato, per ritrovare la propria identità dopo un’unione così intensa ma con la volontà di non lasciarsi mai la mano.